Quando essere “abbastanza” non basta mai
Il perfezionismo che ci sfianca
Il perfezionismo spesso sembra una forza: precisione, ambizione, cura dei dettagli. Ma dietro questa immagine ordinata si nasconde spesso una tensione costante, un senso di “non essere mai abbastanza” che logora piano piano, anche quando tutto sembra andare bene. In questo articolo esploriamo cosa si nasconde dietro il bisogno di essere perfetti e come ritrovare un modo più gentile di stare con se stessi.
Il perfezionismo come strategia di sopravvivenza emotiva
In terapia, il perfezionismo raramente si presenta come semplice desiderio di fare bene. È, piuttosto, una strategia di sicurezza emotiva: un modo per proteggersi dal giudizio, dal fallimento, dal rifiuto. Molte persone lo descrivono con parole simili:
“Non riesco mai a sentirmi soddisfatto, anche quando gli altri mi fanno i complimenti.”
“Ho paura che se mi rilasso, perderò tutto.”
“Appena mi fermo, parte la voce che dice: non hai fatto abbastanza.”
Come spiegano gli psicologi Paul Hewitt e Gordon Flett, il perfezionismo nasce spesso da un bisogno profondo di controllo e di approvazione. Offrendo un’apparente sensazione di sicurezza, però, finisce per togliere libertà e serenità.
Le tre facce del perfezionismo
Hewitt e Flett distinguono tre forme principali:
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Perfezionismo orientato al sé, quando si pretendono da sé standard altissimi;
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Perfezionismo prescritto socialmente, quando si crede che gli altri si aspettino la perfezione da noi;
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Perfezionismo verso gli altri, quando si richiede troppo alle persone intorno.
Tra queste, la più dannosa è quella prescritta socialmente, perché lega il valore personale all’approvazione esterna. Ogni errore diventa una minaccia non solo alla competenza, ma alla possibilità di sentirsi amabili.
Il loop del “non basta mai”
Con il tempo, il perfezionismo diventa un ciclo che si autoalimenta:
si alzano gli standard per sentirsi in controllo, si raggiungono, ma non arriva la soddisfazione, così si alzano di nuovo.
Questo continuo sforzo può portare stanchezza, ansia e senso di vuoto, pur mantenendo all’esterno un’immagine di efficienza.
Una ricerca di Curran e Hill (2019, Psychological Bulletin) mostra che il perfezionismo è in costante aumento negli ultimi decenni e si associa spesso a depressione, burnout e isolamento.
Dietro le apparenze di successo, si nasconde spesso la paura di non valere abbastanza.
Quando l’eccellenza diventa una gabbia
Il problema non è volere il meglio, ma temere l’errore.
Molti perfezionisti non cercano la qualità per passione, ma per paura: paura di deludere, di essere giudicati, di non meritare affetto se non sono impeccabili.
In questo senso, il perfezionismo funziona come una corazza: protegge, ma isola; dà sicurezza, ma limita il respiro.
Nell’Acceptance and Commitment Therapy (ACT), questo meccanismo si chiama fusione cognitiva: quando pensieri come “non posso sbagliare” o “non valgo abbastanza” vengono presi come verità assolute invece che come eventi mentali.
In terapia si lavora proprio per creare spazio tra sé e quei pensieri, così da poter scegliere in base ai propri valori e non alla paura.
Come iniziare a sciogliere la trappola del perfezionismo
Coltivare auto-compassione è uno dei passi più importanti. Invece di chiederti “sto facendo abbastanza?”, prova a chiederti “come mi sento in questo momento?”. Può sembrare banale, ma è un gesto rivoluzionario: sposta l’attenzione dal fare all’essere. La ricerca di Kristin Neff mostra che la self-compassion riduce l’autocritica e aumenta la resilienza.
Fare pace con l’imperfezione relazionale è altrettanto essenziale. Molti perfezionisti sono competenti e brillanti nel lavoro, ma faticano nelle relazioni, dove la vulnerabilità è più difficile da mostrare. Lasciarsi vedere anche nei momenti di fragilità è un atto di coraggio e di autenticità.
Può essere utile anche abbassare gli standard gradualmente. Consegna qualcosa che è “abbastanza buono” e osserva cosa succede. Scoprirai che il mondo non crolla e che il sollievo che segue vale più della perfezione.
Infine, trova uno spazio di cura non performativo — un luogo dove non devi “fare bene”, ma puoi semplicemente esserci. La psicoterapia è uno di quei rari spazi in cui si può mettere giù la corazza e tornare a respirare.
Viviamo in una cultura che ci spinge a brillare, a ottimizzare, a controllare ma il benessere autentico non nasce dalla perfezione: nasce dal permesso di essere umani. Non sei la somma dei tuoi risultati, ma la persona che continua a provarci, anche quando le cose non vanno come previsto.
Imparare a onorare la propria umanità, invece di inseguire la perfezione, non significa rinunciare alle proprie potenzialità: significa ritrovare la pace.
Se senti che il perfezionismo è diventato un peso e non più una spinta, sappi che non sei solo.
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